“Io so esattamente quanto mi rimane da vivere”, mi disse una volta, “quindi devo registrare tutto nella mia scatola nera”.
Mi chiamo Michael, studio Filosofia e da 8 mesi lavoro come Nipote in affitto a Napoli, la città in cui vivo da un paio d’anni.
Uno dei motivi per cui ho scelto questo lavoro, è la possibilità di conoscere e interagire con le persone che rappresentano la storia della meravigliosa città che mi ospita.
Sin da piccolo sono cresciuto a stretto contatto con gli anziani. I miei genitori lavoravano entrambi fuori città, in provincia di Bari, e così passavo il tempo a casa dei miei nonni materni e paterni a settimane alterne. E posso dire che è stata un’infanzia bellissima.
Una caratteristica del mio lavoro è che ogni giorno può succedere qualcosa di nuovo, non sai mai cosa ti verrà chiesto. Ciò che accade di solito è che i clienti mi chiamano, io li aiuto a risolvere dei problemi o ad imparare cose nuove e poi vanno con le loro gambe.
C’è un cliente, però, che da ben 8 mesi mi chiama ogni settimana ed è ormai diventato un amico.
Si chiama Claudio e ha 92 anni. Ha cominciato a lavorare quando aveva 14 anni, e per la maggior parte della sua vita ha fatto il postino. Conosce TUTTE le vie di Napoli a memoria.
“A me non serve Google maps”, mi disse quando gli spiegavo come usare il navigatore, “se c’è una cosa che io so meglio di chiunque altro, sono le strade di Napoli”.
E posso confermare che, finora, non ne ha mai sbagliata una.
Claudio vive in una piccola via del centro storico, una di quelle in cui 3mila anni di storia si accatastano l’uno sull’altro facendoti sentire piccolo come una formica in un bosco.
“Qua sotto ci stanno le catacombe”, mi disse al nostro primo incontro, per spiegare come mai la sua connessione internet fosse così lenta. E lui sa talmente tante cose che non me la sento di smentirlo.
La casa di Claudio sembra antica quanto il centro e ogni volta che arrivo da lui non so mai se e quando mi aprirà, perché il campanello funziona una volta sì e l’altra no.
“Questa casa l’hanno fatta i Borboni”, dice ogni volta, “citofoni compresi” e mi fa sempre ridere.
Quando salgo da lui, poi, lo trovo sempre in salotto intento a cercare qualcosa. Appena mi vede scatta sull’attenti e, quaderno alla mano, si siede alla scrivania con la pagina aperta sulle problematiche del giorno. Quando mi siedo accanto a lui, attacca subito a parlare.
I primi due o tre problemi sono solitamente semplicissimi. Ogni tanto può essere l’immagine del profilo Facebook da cambiare, o convertire un file da doc a pdf.
Ormai lo conosco e ho capito che queste cose non è che non le sappia fare, è solo che preferisce farle assieme a qualcuno. E tutto sommato lo capisco.
Una volta esaurite queste prime richieste, tempo medio 7 minuti, passa i successivi 15 a raccontarmi le novità della settimana.
Gli argomenti spaziano dall’andamento delle sue criptovalute alle proposte di legge che vede sui giornali online, fino agli aneddoti sugli amici che si sono fatti imbrogliare con i contratti telefonici.
So che questo non farebbe parte del mio ruolo di “maestro” ma, secondo me, è proprio questo attaccamento alle novità del momento che lo aiuta a mantenere lo stimolo e la voglia di imparare costantemente.
Quei 15 minuti di conversazione su tecnologia e attualità sono il carburante per le nostre ore di lezione.
La seconda parte della lezione, invece, verte sempre su temi più complessi o sui suoi progetti personali.
Da un paio di settimane, il progetto speciale di Claudio è uno: scrivere le proprie memorie.
“Mi restano circa 2850 giorni da vivere, caro Michele”, lui mi chiama così, “è fondamentale che io dica tutto ciò che ho da dire, che la mia scatola nera non vada perduta”.
E così abbiamo cominciato a dedicare mezza lezione, ogni settimana, alla stesura delle memorie di Claudio. Lui si siede davanti al suo file word, con il bloc notes accanto, e io lo osservo rimanendo un passo indietro. Parla ad alta voce, leggendo quello che scrive e io mi perdo nei suoi stessi ricordi.
Solo ogni tanto si interrompe, mi guarda, e mi chiede come si fa il punto interrogativo o come si cancella l’ultima parola.
Quando è ora di andarmene gli chiedo se ha ancora bisogno di me e lui scrolla le spalle e mi congeda con un “ce la caveremo”.
Poi mi accompagna alla porta.
“Non prendere l’ascensore”, mi dice sempre, “pure quello l’hanno fatto i Borboni”.